Scrivere di notte è più facile, per me. Il silenzio alimenta l'impressione che tutto il mondo stia dormendo, e questa illusione che nessuno sia vivo o in grado di leggermi mi rende più sincero e, in qualche modo, più genuino.
Parlavo di fisiognomica con Giuli, prima. Mi diceva che qualche anno fa si credeva che alle dimensioni degli organi fossero associate delle malattie mentali. Tipo alla mano, infatti esisteva una specie di guanto per misurarne la grandezza.
"Ma è vero che il cuore di una persona è grosso quanto il suo pugno?"
È verino, ha detto Giuli. Che se ne intende, visto che studia medicina. E infatti mi guardo il pugno, e ciò che vedo non è altro che la conferma di una verità che conosco da parecchio tempo e che ormai posso ammettere senza rimanerci nemmeno troppo male: e cioè che ho un cuore minuscolo.
Mi guardo il pugno, e mi fermo a cercare di capire a chi è dedicato il suo corrispettivo pulsante che ho nel petto. Sicuramente una parte ai miei amici e alla mia famiglia. Non sono così tanto egoista da non dar loro una fetta del mio cuore. Alla mia sorellina, a mamma e papà, e poi a tutti i miei amici: quelli più colorati, ma anche quelli orgogliosamente grigi, quelli che pompano nelle casse e quelli con cui la mia anima si diverte a cozzare.
E poi c'è tutto un altro pezzo di cuore, un pezzo enorme, forse metà o anche di più; c'è tutto questo pezzo di cuore che è solo mio, è dedicato solo a me. Alle mie cose, ai miei sogni, alla vita che ho costruito. Roba mia, solo mia. Forse troppo mia.
Perché forse non è giusto. Perché forse gli altri lo sentono pulsare questo pezzo del mio cuore, ma lo sentono che è inaccessibile, che loro non possono entrare. E allora mi domando a cosa serva essere forti, e a cosa serva avere una parte di sé a prova di ogni attacco nemico, e a cosa serva possedere un cuore... se si è così egoisti da non poterlo condividere con nessuno.
Forse è per questo che il mio cuore è minuscolo.
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