Quando sei cresciuta giocando a tennis,
non ne puoi più fare meno.
- Anna Kurnikova -
Nel tennis si usano delle racchette. La pallina è piccola e gialla, e attenzione: non bisogna farle colpire la rete, a differenza del calcio. Il campo può essere di vari tipi, il che permette alle tenniste e ai tennisti metrosexual di sfoggiare completini diversi a seconda del colore della terra battuta. Federer, Nadal, impronunciabili nomi di tizie russe.
A parte queste tre righe, devo ammettere che
di tennis non conosco nient'altro. L'unica partita di tennis che ho visto per intero è
quella tra Kira ed L in
Death Note, e sono abbastanza sicuro che quello non fosse propriamente tennis, così come sono sicuro che difficilmente troverò altre partite così avvincenti. E forse è proprio per questo episodio del manga che ho sempre associato il tennis agli scacchi. A un gioco di strategia, oltre che di forza.
Un esercizio di precisione, di cervello, di crudele analisi. Perché devi conoscere i punti deboli dell'avversario, e sapientemente e ferocemente devi manovrare il tuo attacco su di essi.
Ci sono delle volte in cui mi sento un tennista. Eppure non posseggo le gambe di un tennista, le braccia di un tennista; nemmeno indosso una fascetta bianca tra i capelli. Senza contare che non sono del tutto sicuro di saper distinguere una racchetta da uno scacciamosche, ecco. Ma capita che io affronti la vita con gli stessi meccanismi con cui affronterei una partita di tennis. I flirt, le relazioni, anche quelle passate, le amicizie, le nuove conoscenze. Mi ritrovo a calcolare con variabili che non possono essere sommate né sottratte, quantifico, misuro, e misuro tutto: gesti, parole, pensieri, e faccio tutto questo perché tutto quello che mi succede fa parte di una partita. Da vincere.
E non è vero che è una cosa sbagliata, e non è nemmeno vero che è la cosa giusta da fare. L'essere razionali è una parte del carattere, e come tale c'è bisogno di uno sforzo notevole per cambiarlo. Non è come ingoiare una compressa, che viene assorbita dall'organismo e poi fa tutto il principio attivo. Non basta una pacca sulla spalla, o un sorrisino, o una promessa, o un Dai, pensa meno e buttati, magari detto svogliatamente per fare due discorsi. No: se sei un tennista lo sei e basta, è quasi genetico.
La settimana scorsa, due persone mi hanno dato lo stesso consiglio nel giro di ventiquattro ore: usa la pancia. Uno è il mio migliore amico, che quindi mi conosce e sa che sono così e a cui vado bene anche così. E un'altra è una ragazza sconosciuta di cui seguo il blog, che vive in un altro continente e che probabilmente non incontrerò mai ma a cui ho dato comunque la stessa impressione. Usare la pancia. Un consiglio che entrambi mi hanno dato senza avere nessun fine, nessun interesse, se non il mio.
E come fa un tennista a usare la pancia? Non lo so. Forse deve lasciarsi guidare dalla racchetta, più che dalla testa. Deve lasciar andare le braccia dove vogliono loro, e le gambe libere di sfrecciare dove sentono. Ma soprattutto, deve ammettere la possibilità che qualche palla potrebbe colpirlo in pieno petto. Deve tenere in conto il fatto che potrebbe scivolare sulla terra battuta. Potrebbe cadere.
E chi può dirlo, ora, se è doloroso.
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