Il tè senza zucchero


Un paio di settimane fa io e i miei amici eravamo particolarmente in vena di sentirci eterosessuali, così abbiamo deciso di passare la serata in una sala da tè. Ora, il medico mi ha prescritto di non andare in paranoia per le questioni lessico-grammaticali, e vi giuro che questo necessita di uno sforzo considerevole da parte mia, tuttavia cercherò di non controllare se "tè" è la corretta dicitura, o se è meglio thè o te o the o thé o tiè o teh o hte o qualsiasi altra permutazione di queste tre lettere.

La sala da tè dove ci rechiamo ha un nome in francese adattissimo per una sala da tè o per un profumo o per una prostituta d'alto borgo, ed è un posto molto grazioso. I tè nella lista sono tantissimi e hanno dei nomi che ricordano vagamente le posizioni del kamasutra, così io ne scelgo uno dal nome innocuo: "Polvere da sparo", che secondo la descrizione avrebbe potuto risvegliare qualsiasi cosa per cui, penso, magari funziona anche con la mia umanità.

A servirci è un ragazzo eterosessuale quanto Solange che ci porta le teiere, le tazze, i piattini, i cucchiai, le fettine di limone, lo zucchero E NESSUN BISCOTTO. "Il tè non si beve, si degusta. E se mangiaste intanto che degustate, rovinereste la degustazione", dice intanto che io mi figuro di affogarlo nel brodo di pollo. Poi, per essere proprio sicuro di essere odiato fin nel profondo, aggiunge: "E non ci dovete nemmeno mettere lo zucchero, per lo stesso motivo".

A distanza di due settimane, spinto dai sensi di colpa per aver passato i giorni di festa senza ingerire alcuna fibra vegetale o, più genericamente, alcunché di salutare, mi sono fatto un tè verde, che è quella bevanda paracula che assumiamo quando abbiamo qualcosa da farci perdonare al nostro organismo. Ed è successo che nel tragitto dal fornello al tavolo i miei occhi non hanno potuto fare a meno di notare il pacco di Gocciole Pavesi che gridava il mio nome.

Ed è andata più o meno così:




È andata più o meno così, per più o meno dieci volte.


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