Ciao a tutti. È la festa del mio compleanno e della mia laurea, e come da tradizione è il momento del discorso. “Tradizione”, beh, in effetti è il secondo anno che lo faccio, ma non starei a sottilizzare. D’altra parte, dopo quanti anni una cosa è tradizione? Cinque, dieci, cinquanta? Chi lo decide? Voglio dire, e se muoio domani?
Ed eccoci qua, ventiquattro anni e 157mila 426 gocciole Pavesi dopo la mia nascita. Okay, le gocciole non si vedono perché ho un metabolismo rock che il mondo giustamente mi invidia, ma ci sono tutte, ve lo giuro.
Ed eccoci qua, tutti riuniti per una serata senza pretese. Chiacchiere, ricordi, risate e magari due conti. Dopo ventiquattro anni, di cui svariati passati dietro a studi prevalentemente scientifici, posso dire di avere imparato a contare. Ventiquattro anni, per esempio, sono 8760 giorni – non ho considerato gli anni bisestili per ragioni di voglia, spero perdonerete questa grossolana approssimazione – e sono anche 210mila 240 ore, 12 milioni 614mila 400 minuti, 756 milioni 864 mila secondi e devo finire qui il giochino perché se provo a calcolare i millisecondi la calcolatrice esplode e dovrei prendere quella dell’università, comunque il concetto mi sembra chiaro.
Ventiquattro anni sono tutto questo tempo, ma in termini numerici sono anche: due genitori, una sorella, quattro nonni, sei spettacoli teatrali, 417 post su Zucchero Sintattico, cinque anni di “si vede che le cose le sai ma non le sai esprimere” a biologia, un solo piccolo povero trenta e lode che rivendico con orgoglio, cinque magliette a righe, una decina di concerti, 500 numeri di Topolino, tre paia di stivali marroni, almeno cinquanta appuntamenti al buio, sette ombrelli tra persi e rubati, otto stagioni di Will&Grace.
E poi ci sono le cose che non si possono contare, perché troppe, o perché inquantificabili. Come i litri di Long Island. Come gli euro spesi da H&M. Come tutte le volte che ho detto In qual è non ci va l’apostrofo. Come l’odore dei libri nuovi, e come le metafore inflazionate tipo questa. Come i ringraziamenti ai genitori di James Franco, di Matt Bomer e dei modelli di asos.com. Come le sere passate nel parcheggio del McDonald’s a parlare. Come le farfalle nello stomaco. Come la Vodka nello stomaco. Come i Ti voglio bene pensati ma non detti. Come i Ti voglio bene pensati ma non detti ma recepiti ugualmente. Come i puntini rossi, che possono essere le correzioni sui test a crocette, o i brufoli scoperti di sabato mattina, o i freni delle macchine di notte in autostrada. Come la notte.
Come noi.
Perché senza di noi, tutto questo, che l’ho contato a fare?
Etichette: Me in bianco e nero