Web reputation is the real svalutation



[ articolo che ho pubblicato 
in origine per Maintenant Mensile ]



Sono appena tornato da uno di quei seminari in cui insegnano ai neolaureati le modalità migliori per trovare un lavoro, scrivere un curriculum, fare bella figura ad un colloquio ed altre cose simili. La ragazza che teneva la conferenza ha cercato più volte di terrorizzarmi, e non solo col suo maglione bianco a collo alto onestamente inguardabile, ma più che altro con uno spregiudicato uso di avverbi e congiunzioni (era tutto un Piuttosto che e un Assolutamente sì e un Decisamente no), evidente segno di una formazione da nord Italia industriale.

Ad un certo punto passa a parlare della web reputation. Che sarebbe, in italiano, la reputazione virtuale, ma la ragazza è ormai completamente assorbita dallo stesso meccanismo che lei cerca di spiegare al suo pubblico: un meccanismo per cui ogni termine va inglesizzato, quindi il candidato deve essere smart e il resume deve essere catchy, che per quanto mi riguarda potrebbero essere i nomi dei chihuahua di Rihanna, e invece sono parole che davvero si usano.

La web reputation, spiega la ragazza citando wikipedia e gesticolando in modo tale da attirare l’attenzione sulla sua maglia bianca, è l’insieme dei dati che un’azienda che ti vuole assumere raccoglie su di te cercandoti in rete. Per questo – continua, mentre distogliere lo sguardo dal maglione diventa sempre più difficile - è importante curare la nostra immagine virtuale, a cominciare da quella dei social network a cui siamo iscritti. Dobbiamo essere gentili nelle nostre interazioni, mettere foto carine e aggiornare spesso il profilo. Un po’ come quando navighi in una chat di incontri. Dobbiamo saperci vendere.

“Potrebbe sembrare una mercificazione della persona, ma è così”, conclude la ragazza, dimostrando una volta per tutte di aver bisogno di ripassare il capitolo sulle congiunzioni. Io concludo che, nonostante il suo accento milanese e soprattutto il suo gusto in fatto di maglioni, la ragazza dice cose che hanno un senso – o perlomeno, credo che funzioni davvero così. Magari inconsciamente, ma tutti noi giochiamo a chi si sa vendere meglio, e lo facciamo sempre. In un’epoca in cui si dà tanta importanza ad essere Qualcuno, ci spendiamo per dipingere i nostri barattolini con i colori più trendy (o catchy, o quel che vi pare), ma mi chiedo quanto ci curiamo della qualità del tonno che c’è dentro.

In tutto questo, non ho capito se sul curriculum ci devo scrivere che sono al livello 66 di Candy Crush Saga.






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