Il Re Lear raccontato terra terra


 - se Shakespeare fosse stato schietto, prosaico e un pochino trash -


C’era una volta, tanto tempo fa, il Re Lear. No, non il re leone, quella è un’altra storia, il Re Lear. Questo re, ormai consapevole di aver raggiunto una certa età, decide di abdicare. Capisco che possa risultare un concetto strano, specialmente per noi che viviamo in un Paese dove i politici non rinunciano mai alla poltrona, e se vogliamo dirla tutta nemmeno Vasco Rossi la smette di produrre quei suoi dischi di merda, ma nella terra di Britannia questo era possibile. Il re decide di spartire i propri possedimenti tra le tre figlie, dando il migliore a colei che sarebbe stata in grado di esprimere meglio l’affetto provato per il padre (leggasi: la più leccaculo vince).

Cordelia, la minore delle tre sorelle, non è capace di adulare a comando, si vede che non ha mai partecipato ai convegni del PdL tenuti da Brunetta, e ciò fa infuriare Re Lear, che la esilia con disonore. Poi, per carità, lei va in sposa al re di Francia, quindi non è proprio che finisca a vendere le castagne in Via Roma, ma insomma. Tra l’altro, anche il conte di Kent – un uomo, un’onomatopea – prova a difenderla, ma viene esiliato. Non pago del risultato ottenuto, decide comunque di camuffarsi e continuare a servire il re. Shakespeare non ci spiega da quale forma patologica di grave autolesionismo sia affetto il conte di Kent (è sempre un piacere dirlo, conte di Kent, conte di Kent, conte di Kent, Dio, continuerei per ore!), noi andiamo avanti con la lettura.

Re Lear va a soggiornare dalla figlia maggiore, Gonerilla, la baldracca arzilla. Ma le cose non vanno tanto bene, sembra di stare a Casa Vianello, anzi, casa Vianilla (AHAHAH applausi). I due litigano: il re si infuria per la terza volta nello stesso giorno, neanche fosse in premestruo, e manda il conte di Kent dall’altra sua figlia, Regana, la diabolica bottana, ad informarla che si trasferirà da lei.

Il conte di Kent arriva a Gloucester, dove viene insultato prima da Osvaldo, che non è il marito di Orietta Berti bensì il maggiordomo di Gonerilla, e successivamente da Regana e dal marito, il duca di Cornovaglia, che lo fa addirittura torturare. Quando Re Lear scopre che così tanta gente ha insultato il suo servitore, va su tutte le furie (strano) e finalmente capisce che le sue figlie maggiori non sono altro che viscide stronzette avide di potere: impazzito, corre nella foresta dove sta imperversando una tremenda bufera.

Ora, c’è da sapere che il conte di Gloucester, che in questo momento sta ospitando tutti quanti a sue spese e nessuno si è premurato di portare nemmeno un po’ di pasticcini, dicevo, il conte di Gloucester ha due figli: Edmondo ed Edgardo. Edmondo ed Edgardo. Edmondo ed Edgardo. Mi domando perché Shakespeare non abbia optato per chiamarli Tip e Tap, già che c’era. Ad ogni modo, Edmondo, il bastardo biondo, è quello illegittimo e cattivo, che ha architettato un piano per far credere al padre di essere vittima di una congiura ordita dall’altro figlio, Edgardo, il cavaliere un po’ tardo, che invece è buono e magnanimo, ma che per la congiura di cui sopra è dovuto fuggire nella foresta dove si è camuffato da mendicante.

Il conte di Gloucester prova pena per il re, cacciato dalla versione shakespeariana delle sorelle di Cenerentola, e va alla sua ricerca per offrirgli un alloggio: nella foresta trova il re, il Matto, il conte di Kent ed Edgardo, che sarebbe suo figlio ma non lo riconosce perché ha addosso dei cenci da mendicante. Certo, già già. In fondo siamo nel mondo della fantasia, dove l'incoerenza e l'inverosimile regnano sovrani, e nessuno si chiede come mai Pippo parli e Pluto no e nessuno capisce che Clark Kent è Superman con gli occhiali.

Tornando a noi, c’è un problema: che Edmondo (cioè il figlio bastardo di Gloucester) sa che suo padre sta aiutando il re, e coerentemente col suo ruolo di pezzo di merda lo va a spifferare a Gonerilla la baldracca arzilla, a Regana la diabolica bottana e al marito di lei, il duca di Cornovaglia, che molto allegramente legano il conte di Gloucester, e gli schiacciano gli occhi, rendendolo cieco. Per fortuna un servo di Gloucester non ci sta: tutto quel casino nella sua cucina, e senza manco un misero pasticcino. Afferra un pugnale e colpisce il duca di Cornovaglia, che muore. Poi anche il servo viene ucciso da Regana, che si improvvisa killer.

Gloucester fugge e chiede a Edgardo, che è suo figlio ma continua a non riconoscerlo (ma adesso ha un senso, è cieco) di portarlo su una scogliera per suicidarsi. Edgardo non è così imbecille come il padre e lo porta su una piccola roccia, che l’altro stupidamente crederà essere un alto promontorio. Vabbè, quando uno è demente. Il vecchio si lancia eeee oplà, non muore. L’unico Cristo di questa tragedia che vuole morire viene invece salvato dall’unico personaggio che non è posseduto da Crudelia De Mon: Edgardo, appunto, che già che c’è uccide anche Osvaldo e gli ruba una lettera in cui si capisce che c’è un inciucio tra Edmondo, il bastardo biondo, e Gonerilla, la baldracca arzilla. Parta la sigla di Beautiful.

Nel frattempo Re Lear si è riconciliato con la figlia Cordelia, e vissero tutti felici e contenUNA RICCA SEGA, perché Francia e Britannia si scontrano in battaglia e ovviamente vincono gli inglesi. Ta da da daaaa. Lear e Cordelia vengono quindi imprigionati da Edmondo, che intanto ha modo di litigare col marito di Gonerilla, il duca d’Albany. Il duca è un attimo incazzato perché è venuto a sapere che il giovane se la fa con sua moglie. Guarda Gonerilla con la stessa dolce espressione con cui Chris Brown guarda Rihanna, e intanto indice un duello contro Edmondo: a combatterlo è Edgardo, il fratello.

Nelle ultime tre pagine succede che: Gonerilla avvelena Regana, Gonerilla si pugnala, Edgardo uccide Edmondo che però aveva ordinato l’esecuzione di Cordelia, quindi Cordelia viene impiccata, re Lear la guarda morire, piange tantissimo e poi muore di dolore. Tabula rasa di praticamente tutti i personaggi (George R.R. Martin scansati), sopravvivono solo il Matto, il cieco, il cornuto, l'orfano e il conte di Kent, a dimostrazione del fatto che se vuoi restare vivo nelle tragedie di Shakespeare devi essere uno sfigato.


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