Il treno che passa da Magenta


Venerdì mattina ho preso il treno perché dovevo andare a Milano. Sapete, Milano, la città dove tutto è frenetico e la gente ti passa davanti anche sulle scale mobili di Bershka. Giuro che quando è successo ho iniziato a balbettare guardandomi intorno spaesato. "RILASSATEVI" gridavo malamente a cittadini casuali, quando mi sono ripreso. Ad ogni modo, per arrivare a Milano da Torino ho preso un Regionale Veloce (veloce, vabbè) che passa da Magenta.

Ora, alzi la mano chi sa che in Italia esiste Magenta: tutti ovviamente, ma non perché ci siete stati o perché sia una città particolarmente famosa, no. Vi ricordate di Magenta intanto perché ha il nome di un colore, ma soprattutto per la canzoncina dell'asilo celebre per il fantasioso uso di articoli determinativi e connettivi logici. "Era una sera battaglia di Magenta oh che piacere giocare ai cavalieri". Siccome siamo fortunati e siccome Internet è uno strumento potenzialmente terrificante, c'è una simpatica ragazza che si è premurata di farne una performance su YouTube che vi raccomando:


Il consiglio è di guardarla quando non avete i vostri 
coinquilini in casa.  Potrebbe sembrargli strano, capite.


Ho passato tutto il viaggio in treno fino a Magenta un po' preoccupato. La mia scuola è divisa in sei classi, e io sono finito in quella dove ho il timore che la cultura personale sia molto importante. Questa è ovviamente una cosa positiva, ma il fatto è che io sono -e lo dico vergognandomene- ignorante. Non leggo molto. Certo, potrei stare mezza giornata a esporvi la filosofia che c'è dietro all'ultimo album di Marina and the Diamonds, ma questa non è cultura classica.

Sono immerso in questi pensieri quando mi accorgo di essere arrivato a Magenta. Alzo la testa e mi guardo intorno. Davanti a me c'è una famiglia di sordomuti in piena crisi. Ti accorgi quando dei sordomuti stanno litigando perché stanno zitti, ma smanaccano convulsamente e hanno la faccia tutta contrariata. È un po' come guardare Dragonball senza audio.

Alla mia destra c'è una vecchietta con un paio di fantastici stivali da pioggia e nessun dente. Accanto a lei un signore di quarant'anni che legge Geronimo Stilton e il galeone dei gatti pirati. No vabbè è il treno del disagio. Poi per forza uno è sfigato, me la passate per osmosi.

Riflettendoci meglio, ho capito che quel tipo, quello che legge Geronimo Stilton è un grande. Guardandolo, ho intuito che probabilmente è straniero. Magari non è più nel suo Paese e deve imparare una nuova lingua, e lo fa iniziando dai libri per bambini. O magari vuole insegnare a leggere al figlio, e prima di farlo deve fare esercizio. Quel tipo che legge Geronimo Stilton è un grande perché ci vuole tanta forza di volontà per migliorare. Più che il talento, più che l'intelligenza. Non ha perso tempo a pensare che non sa l'italiano: sta cercando di impararlo e basta.

La conclusione - esplicitata in perfetto stile Disney, non è che vi considero cretini, è che ho bisogno di metterla nero su bianco - è che una volta che ho preso atto della mia scarsa cultura, devo cercare di digievolvermi dallo stadio di capra e recuperare le tappe che mi mancano. I francesi hanno un'espressione che rende tantissimo, che è farsi il culo.

Così, apro lo zaino e tiro fuori Salinger e inizio a leggere.




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