La Storia non mi è mai piaciuta un granché, lo ammetto. Parlo della Storia con la S maiuscola, non la storia che racconta papà castoro a quelle tre rotture di palle di Caline, Grignote e Benjamin (ho cercato i nomi su Wikipedia), e nemmeno le storie intese come le innumerevoli relazioni tra Francesco Arca e, nell'ordine a partire dai suoi quattordici anni, Carla Velli, Jennipher Rodriguez, Laura Chiatti, Anna Safroncik, Luisa Corna, Irene Capuano e Anny Centis. Ho cercato su Wikipedia anche questo (mi sarà molto utile per questo post, Wikipedia).
A ogni modo, quando a raccontarti la Storia è uno scrittore e non una fiction con Beppe Fiorello, arrivi ad amarla anche se sei una capra come me. Ho preso così tanti appunti alla lezione che Antonio Scurati ha tenuto sulle cinque giornate di Milano che mi sembrava un peccato non condividerli con le eventuali altre creature che popolano questo immenso universo caprino. A modo mio.
SPOILER: vincono i milanesi, statece.
Era il 18 Marzo 1848, esattamente centosessantasei anni fa. Il popolo di Milano subiva da decine di anni una terribile oppressione. No, non le toghe rosse, Dio Santo. Stiamo parlando della dominazione austriaca. Quello austro-ungarico era, a quei tempi, l'impero più potente del mondo. Certo, mostrava già i primi segni di declino, ma non a Milano, dove ventimila soldati cattivissimi e più arcigni di Victoria Beckham in premestruo erano pronti a sedare qualsiasi rivolta. In più la loro base era nel Castello Sforzesco, una fortezza ritenuta imprendibile. In più i milanesi non avevano armi, né alcuna esperienza di guerra, se quella di qualche vecchietto arzillo.
Il popolo aveva deciso che si sarebbe ritrovato al Broletto alle 14, non per l'inaugurazione della fashion week, ma per una manifestazione che sarebbe dovuta proseguire fino a Corso Monforte, dov'era il palazzo del governo. Alle finestre venivano esposti i tricolori che erano stati cuciti durante la notte. Un liceale particolarmente sfigato ma coraggioso di nome Giovanni Battista Zaffaroni uccise uno dei corazzieri di guardia al palazzo: questa azione si chiama primo sangue, ed è quello che dà il via a una rivoluzione. La gente si infervorò e invase la sede del governo.
Ora, le truppe austriache erano comandate da un maresciallo boemo che si chiamava, aspettate che faccio copia e incolla, Johann Josef Wenzel Anton Franz Karl Graf Radetzky von Radetz, un nome che intanto ANCHE MENO CICCIO, ma che soprattutto dà già l'idea di quanto odioso dovesse essere. Cioè, io posso distintamente immaginarlo mentre rimprovera i nipoti colpevoli di non aver scosso la tovaglia dopo cena. Il motto di Radetzky era "Tre giorni di sangue danno trent'anni di pace", che poi è anche quello che dichiara con sollievo Heidi Klum tutte le volte che la ricomparsa del ciclo la scongiura dal pericolo di una nuova gravidanza.
Nei giorni successivi, la popolazione di Milano resistette all'esercito di Radetzky. Combatterono tutti: uomini, donne, preti, vecchi, bambini orfani, cittadini, contadini, prostitute. Sembrava una puntata di Game of thrones col cast di Glee. I milanesi non avevano armi, se non poche centinaia di fucili e le armi antiche tenute nei palazzi dei nobili: armi vecchie anche di cinque secoli, che erano state usate contro Federico Barbarossa. È un po' come quando vedete i ragazzi coi leggings da uomo, che sono la versione moderna delle calzamaglie medievali.
La sera del 22 Marzo 1848 si combatte la battaglia decisiva, davanti a Porta Tosa. Lo scenografo della Scala aveva realizzato le barricate mobili, con cui i milanesi imposero la loro presenza in città. Radetzky ordina la ritirata, scrivendo all'imperatore che era il giorno più triste dell sua vita. Intanto, Milano si stava ubriacando di Spritz sotto Porta Tosa, che oggi si chiama Porta Vittoria.
Quando mi è stata raccontata questa Storia, ho provato un moto di orgoglio. Spesso spariamo merda quando parliamo dell'Italia, ma ci dimentichiamo che per svariati secoli (e qualche volta anche al giorno d'oggi, dai) siamo stati della gente con i controcoglioni. Forse di questi tempi i valori di Milano sono Armani e lo shatush, ma nel 1848 ciò in cui si credeva era l'idea di un'Italia che presto, prestissimo, sarebbe stata costituita.
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