Quando sono entrato nello scompartimento ho quasi tirato un sospiro di sollievo: non c’era né il vecchio baffuto e sdentato con un’enorme valigia rosa che mi ha urlato “ma ti devi sedere proprio qui?!”, né la cinese hipster (o realmente povera) che sbavava sulle gambe del fidanzato su cui dormiva. Sono entrambe storie vere, ed è per questo che ero abbastanza tranquillo quando ho visto lo scompartimento occupato soltanto da quattro signore sulla quarantina.
Mi concederò qualche ulteriore riga di svago per descrivere le signore ed etichettarle in maniera superficiale, come mi è solito fare.
Io ero discretamente malato, e in quattro ore di treno sono riuscito a dire soltanto:
più numerosi colpi di tosse.
Mel A - “Fate questo giochino, ci sono tante lettere e la prima parola che leggete è quella che vi rappresenta. A me è uscito ‘Timido’”
Mel C - “Cibo”
In questo momento sto per crepare dalle risate.
JLo - “Ah, e non si può mettere il non mi piace?”
Mel A - “No, solo il like. Ma adesso vogliono metterlo, like e dislike”
Sbagliato, Mel A, tutto sbagliato.
Mel B - “Questa mia amica ha scritto ora che le gioie più importanti della vita sono quelle invisibili”
Mel C - “L’ho già sentita milioni di volte”
Mel A - “Ma chi è, la Cristina? Madonna, è la donna più brutta del mondo!”
JLo - “Ma Cristina quella coi baffi?”
Mel A - “Sì, guarda la foto”
Avrei anch’io voluto sbirciare i baffi di Cristina ma mi sembrava troppo. Ero immerso nel pensiero che i quarantenni e cinquantenni su facebook si comportano, a volte, in maniera un po’ ridicola. Voglio dire, il primo aspetto che mi colpisce è l’ipocrisia di tutte queste immagini di madonnine, fiori, coccinelle, cani che dicono Buongiornissimo, quando poi nel mondo reale parlano dei baffi dell’amica.
Poi penso al fatto che i social appartengono a quell’insieme di cose a cui i quarantenni arrivano dopo i ventenni. Ce li vedo, tutti i quarantenni del mondo riuniti insieme in una stanza gigantesca. C’è il quarantenne relatore, che dice qualcosa come “Gente, hanno inventato facebook”, poi si alza un altro che fa “Eeeeh, vabbuo, passerà di moda, come i Pokemon”. “O i Backstreet Boys!”, si azzarda a dire un altro prima di essere preso a borsettate dalla moglie, grande fan di Brian a suo tempo. “Eh no,” ammette sconsolato il relatore “stavolta pare che duri, c’è da aggiornarsi.”
I quarantenni, o magari la maggior parte di loro, si sono avvicinati ai social in un secondo momento, quando per noi si apprestava alla fine la fase del “ora impariamo cosa possiamo scrivere senza fare figure di merda e cosa no”. La conseguenza è, appunto, l’assoluta semplicità di trovare ridicoli i loro comportamenti su facebook.
Ci siamo dimenticati di quando eravamo noi così. Riportavamo canzoni tristi, scrivevamo i nostri stati d’animo come se fossimo di fronte al nostro diario segreto, inveivamo contro tizio o caio che ci aveva lasciato augurando loro le cose peggiori. Pubblicamente.
Poi, per fortuna, ci siamo evoluti. Per fortuna, siamo diventati quelli che parlano di terremoti quando c’è un terremoto o di neve quando nevica, che parlano di calcio il mercoledì sera, che parlano di politiche internazionali dopo un attacco terroristico, di gay se al telegiornale insistono fastidiosamente a voler trattare l’argomento unioni civili, e di cinema in occasione degli Oscar (avendo visto due o tre dei film in nomination).
Mi chiedo come saremo noi su facebook, a quarant’anni. Se saremo ancora lì, a scrivere cose per far invidia agli altri, a scrivere “genio” sotto cose che dai, non hanno davvero niente di geniale, a far vedere quanto siamo smodatamente felici. Se ci sarà stata un’educazione, una presa di coscienza collettiva. Se i social esisteranno ancora. Se avremo capito che questa nuova piega con cui giustifichiamo lo smisurarsi del nostro ego non è per niente produttiva. Se avremo realizzato che dal vivo siamo persone migliori che sui social.
Alle 17:08, le allegre comari escono dallo scompartimento. L’ultima è Mel A, che si volta verso di me e saluta sorridendo. Sto quasi per rispondere Arrivedercissimo!, e invece sorrido.
“Arrivederci”, dico, come un millennials qualunque.